Il Patto di famiglia .

 

Nozione .

Il patto di famiglia, così come introdotto dai nuovi art. 768 bis e seguenti., è definito come il contratto con cui un soggetto (imprenditore), in tutto o in parte, trasferisce la propria azienda o le proprie  partecipazioni societarie ad uno o più suoi discendenti/futuri eredi.

Sono fatte espressamente salve le disposizioni in tema di impresa familiare e di diritto societario: pertanto l'attribuzione di beni come corrispettivo della propria collaborazione nella impresa familiare, rientrerà nell'ambito di applicazione del 230 bis e non del 768 bis. Si applica inoltre in toto la disciplina prevista in tema di cessioni di partecipazioni di società di persone e di capitali, compresi eventuali vincoli, limitazioni alla circolazioni o diritti di prelazione eventualmente previsti.

L’utilizzo della locuzione “si trasferisce” lascia intendere che l’effetto traslativo si realizza immediatamente, in previsione della propria successione. Il patto di famiglia quindi è una  espressa deroga legislativa al divieto dei  patti successori.

 

Ratio.

La disciplina dei patti di famiglia è stata introdotta al fine di conciliare il diritto dei legittimari / eredi con l’esigenza dell’imprenditore di garantire stabilità alla attività imprenditoriale, nonché una successione non aleatoria ai propri discendenti, dando così spazio alla autonomia privata nel superare il divieto dei patti successori al fine di garantire e tutelare la dinamicità della impresa.

Tutto ciò compatibilmente con i diritti dei legittimari mediante la liquidazione della loro quota di legittima.

 

Natura giuridica

La norma si mantiene su un piano di assoluta genericità , non solo rispetto all’alternativa dell’onerosità o gratuità, ma anche in relazione alla dicotomia degli atti inter vivos o mortis causa.

Si ritiene che il patto di famiglia abbia natura di atto inter vivos dal momento che produce immediatamente il trasferimento del bene (a differenza degli atti mortis causa che, trovando la propria causa nella morte del de cuius, producono effetti solo dopo la morte).

La dottrina è divisa sulla natura giuridica da attribuire all'istituto in esame e si possono distinguere tre tesi:

1 tesi – Donazione (allo stato dominante). Dalla assenza di ogni riferimento ad un corrispettivo, dalla sottrazione alla collazione e all’azione di riduzione dell’oggetto del patto di famiglia, e dal vecchio disegno di legge al riguardo, parte della dottrina qualifica il patto di famiglia come una vera e propria donazione o, secondo altri, come atto di liberalità in senso ampio (poiché caratterizzato dall’impoverimento del trasferente ed arricchimento del beneficiario).

L’obbligo di liquidazione di cui all’art. 768 quater viene qualificato come onere, seppure disposto direttamente dalla legge e non volontario, a carico del beneficiario. Pertanto il patto di famiglia potrebbe più precisamente qualificarsi come donazione modale, dove l’onere  verrebbe adempiuto contestualmente alla conclusione del contratto e tale classificazione rimarrebbe ferma anche qualora l’ammontare del modus arrivi ad assorbire l’intero arricchimento.

2 tesi – Divisione. Parte della dottrina pone invece l'attenzione sull’effetto divisorio che si realizza per mezzo del patto di famiglia. Proprio al fine di evitare lo smembramento del complesso produttivo, si coinvolgerebbero nella operazione divisionale tutti i discendenti legittimari. Il patto di famiglia, estromettendo i beni oggetto del patto dalla futura successione e destinandoli a formare una massa autonoma, si propone come istituto alternativo al testamento, affine alla divisio inter liberos.

Con queste premesse, viene quindi riconosciuto all’atto natura di atto divisionale, che ha per effetto di far cessare la comunione dei beni ereditari tra gli eredi, e quindi riconducibile all’art. 764.

3 tesi – Atto tipico. Il patto di famiglia configurerebbe un nuovo ed autonomo negozio giuridico, collocato tra le successioni e le donazioni, con una propria disciplina, caratterizzata da una causa unitaria rappresentata dalla funzione di regolamentare i futuri assetti successori degli eredi/legittimari. Questa causa, unitaria ma complessa, è caratterizzata da una parte da una causa di liberalità che contraddistingue il trasferimento dell’azienda, e dall’altra da una causa solutoria che concerne la liquidazione, imposta per legge, ai legittimari non assegnatari.

Allo stato la tesi che sembra essere più seguita à la prima, ossia l'accostamento del patto i famiglia alla donazione o comunque ad un atto di liberalità ex 809, anche ai fini di tutte le conseguenze che ne deriverebbero: esclusione dalla comunione legale ex 179, impossibilità da parte dell’incapace di compiere l’atto.

Eccezionalmente il patto di famiglia non sarebbe soggetta a revocazione per sopravvenienza di figli poiché tale fattispecie è disciplinata espressamente all’art. 768 sexties.

 

Forma.

l’art. 768 ter non prevede la presenza dei testimoni, ma essendo l’atto in esame assimilabile ad una donazione, si ritiene indispensabile secondo una interpretazione prudenziale, la presenza dei testimoni.

La perizia di stima, anche se opportuna, in realtà non ha alcun valore vincolante perché il valore è determinato alla unanimità da tutti.

E’ inoltre opportuna allegare in atto lo stato di famiglia integrale, così da determinare con precisione tutti i legittimati a partecipare e nessuna eccezione possa essere fatta al riguardo.

 

Ambito di applicazione soggettiva.

Il disponente può essere solo un imprenditore od un titolare di partecipazioni societarie, mentre beneficiario possono essere solo i discendenti.

 

- Dal lato attivo non si dubita che la previsione dell’imprenditore sia coerente con le intenzioni perseguite dal legislatore, mentre più discutibile risulta la scelta di permettere ad un qualsiasi titolare di partecipazioni sociali di poter predisporre il contratto in esame, anche qualora la partecipazione societaria rappresenti un mero investimento (come nella ipotesi di azioni /quote di società di capitali non di maggioranza). Alla luce infatti della ratio della normativa sarebbe possibile accedere all’istituto in esame solo qualora la cessione abbia ad oggetto una partecipazione che consenta, almeno potenzialmente, di esercitare un potere gestionale o di influire sulle scelte gestionali della società. Pertanto solo nella ipotesi di cessione di quote di società di persone, che comportino la cogestione della società, oppure nella cessione di partecipazioni di società di capitali di pacchetti di controllo o comunque di riferimento, che comportano una partecipazione attiva e in grado di influire sulla gestione societaria, sarebbe rispettata la ratio della riforma. Ad una conclusione negativa si dovrebbe invece pervenire nella ipotesi di cessione di partecipazioni di scarso rilievo oppure consistenti in meri investimenti di capitale nella società .

Tuttavia la lettera della norma non permette di formulare alcuna distinzione di sorta e quindi parte della dottrina (Genghini) ritiene che non sia necessaria la qualifica di imprenditore del trasferente (poiché il titolare di partecipazioni di società di capitali non è imprenditore) né sia possibile restringere il trasferimento delle partecipazioni societarie solo alle partecipazioni di riferimento.

 

- Dal lato passivo invece, la restrizione dei beneficiari ai soli parenti in linea retta, sembra incoerente con il restante impianto delle successioni e con lo spirito della novella medesima. Negare infatti al coniuge di poter essere beneficiario della disposizione non trova riscontro nell’intento di assicurare una continuità gestionale dell’impresa, che quindi appare come una grave omissione. Tanto più che lo stesso coniuge deve partecipare al patto insieme agli altri legittimari non assegnatari quali beneficiari della liquidazione del valore delle loro quote di legittima.

Si ritiene che non possano essere beneficiari della disposizione in esame i discendenti in linea collaterale dato che, in assenza di un limite al grado di parentela, si tradurrebbero in disposizioni a favore di veri e propri estranei.

 

- La partecipazione dei "legittimari non assegnatari" è richiesta – a pena di nullità - dall’art. 768 quater c.c. al fine sia di tutelare i rispettivi diritti di legittima ma anche di evitare successivamente liti tra gli stessi ed il beneficiario al fine di garantire stabilità al patto, tanto che il contratto potrà essere impugnato da eventuali legittimari sopravvenuti solo per vizi del consenso e nel breve termine prescrizionale di un anno.

Si ritiene che non debbano partecipare necessariamente all’atto gli ascendenti, in quanto l’esistenza dei discendenti li esclude dal novero dei legittimari alla successione. Tuttavia parte della dottrina ammette la possibilità di una loro partecipazione nella ipotesi di modificazioni dello stato familiare come scomparsa, premorienza, rinuncia di tutti i discendenti, così da rendere opponibile il patto di famiglia già stipulato anche nei loro confronti.

È necessaria la partecipazione in atto, a pena di nullità, di tutti i legittimari ?

Parte della dottrina, attribuendo al negozio in esame natura di contratto necessariamente plurilaterale (al pari della divisione) e stante l’eccezionale deroga ai principi della successione necessaria (Genghini), conclude per la inevitabile sanzione della nullità del medesimo.

Un secondo orientamento tuttavia, alla luce del successivo art. 768 sexties, che prevede testualmente l’ipotesi in cui uno o più legittimari “all’apertura della successione” non abbiano partecipato all’atto, commina la (mera) sanzione dell’annullabilità ai sensi dell’art 768 quinquies.  Secondo questa ricostruzione quindi la presenza dei legittimari non sarebbe affatto necessaria né l’opposizione di uno di essi potrebbe precludere la stipulazione del contratto in esame dato che disponente e beneficiario potrebbero comunque concludere detto negozio , essendo possibile (perchè previsto) un pagamento sanante post mortem .

Tuttavia dottrina autorevole (Genghini) sottolinea come l’importanza della partecipazione di tutti gli altri legittimari sia inderogabile in vista degli interessi che la norma vuole proteggere e su cui incide.

Con il patto di famiglia infatti si deroga, anche se in parte, ai principi della successione necessaria, deroga che inciderebbe sui diritti di tutti i legittimari chiamati alla successione, che quindi non possono non partecipare all’atto.

Proprio in atto inoltre si decide e si attribuisce il valore al bene trasferito (azienda o partecipazioni societarie), valore che và necessariamente ad incidere anche sui diritti di tutti gli altri legittimari, la cui quota di liquidazione sarà calcolata sulla base di quel valore. Proprio per questo motivo quindi tutti i legittimari devono partecipare in atto, dare il loro consenso alla operazione e partecipare alla determinazione del valore del bene assegnato. Proprio per questo motivo quindi, la mancata partecipazione di anche uno solo dei legittimari (così come risulta dallo stato di famiglia del disponente che il notaio dovrà consultare) oppure anche solo la contrarietà alla operazione in esame, comporta l’impossibilità di stipulare l’atto in esame, in ragione della sua grande e forte eccezionalità.

 

Deroga all’art. 458 ed ad altri principi successori.

Il patto di famiglia introduce una importante deroga al principio dei patti successori, tanto che è stato modificato l’incipit stesso dell’art. 458, il quale tuttavia contiene tre distinti divieti. Il legislatore tuttavia non si è preoccupato di riferire la deroga ad una delle tre fattispecie previste ma si è limitato ad una previsione generica così che poi la deroga operi per quanto di competenza.

Un patto successorio dispositivo è ravvisabile nel fatto che il beneficiario, in vita del de cuius, anticipi agli altri legittimari quanto di loro spettanza sui beni oggetto del patto, che altrimenti cadrebbero in successione.

Qualora inoltre i non assegnatari rinuncino alla liquidazione, si realizzerebbe un patto successorio rinunciativo, perché tali soggetti rinunciano preventivamente ai diritti di legittima che spetterebbero loro sulla successione del de cuius non ancora aperta. Rinuncia, in ogni altro caso vietata, dall’art. 577 . Parte della dottrina ritiene quindi che la disposizione in esame sia espressa deroga alla irrinunciabilità della azione di riduzione, principio stabilito nell’art. 557.

Si sottolinea che tale rinuncia  sarebbe tuttavia una rinuncia parziale alla azione di riduzione, perchè limitata ai soli beni oggetto del patto. Di conseguenza i legittimari potranno avvalersi del rimedio di cui all’art. 553 per gli altri beni dell’asse ereditario.

Attenta dottrina (Genghini) ha messo in luce come nella fattispecie in esame non si abbia una vera e propria eccezione al 557, non essendo possibile anche alla luce della presente disciplina, rinunciare in vita del de cuius alla azione di riduzione; è solo possibile rinunciare alla propria quota di liquidazione, su quel bene, prevista dall’art.768 quater; sono due fattispecie da tenere ben distinte.

Il fatto che il beneficiario soddisfi le ragioni degli altri legittimari versando una somma corrispondente al valore della legittima calcolata al momento della stipulazione del patto, è una importante deroga al principio di cui all’art. 556 secondo cui la determinazione dei diritti del legittimario è fatta al momento della apertura della successione. Si sottolinea comunque che, in tal modo, non si esaurisce l’intera quota di legittima ma solo la porzione che a ciascun legittimario spetterebbe sul bene in oggetto.

Al fine di dare forza e stabilità al patto di famiglia, nonché garantire la continuità della gestione imprenditoriale, è espressamente previsto che i beni trasferiti al beneficiario sono espressamente sottratti alla collazione e alla azione di riduzione.

La citata sottrazione all’azione di riduzione esclude anche l’applicazione del novellato art.563, dal momento che sarebbe inutile per i legittimati rinunciare al diritto di opposizione alla donazione, dato che detto bene è definitivamente assegnato al beneficiario, poiché sottratto alla azione di riduzione.

 

Soggetto obbligato alla liquidazione di legittimari non assegnatari.

La liquidazione deve essere fatta dal beneficiario.

Il disponente non potrà quindi effettuare lui stesso le liquidazioni in quanto si determinerebbe una disparità di trattamento (si potrebbero tirare fuori dalla successione beni solo da parte di chi ha la titolarietà di un’azienda) e in tal modo verrebbero fatti rientrare nel patto, a titolo di liquidazione, beni di qualsiasi natura (quindi non solo le aziende e le partecipazioni).

Naturalmente, il disponente potrà effettuare lui stesso le liquidazioni come adempimento del 3°\ atto donativo, ma in tal caso si tratterà sempre di disposizione riducibile.

La liquidazione in natura del beneficiario, in quanto prevista espressamente dalla legge, non ha natura di datio in solutum (diverso è invece il caso dove la liquidazione è fatta in delegazione di pagamento).  

 

Rinvio all’art. 536 per la determinazione delle quote

La quota deve essere calcolata in relazione al singolo bene attribuito con il patto, non dovendosi procedere quindi alla riunione fittizia. Le eventuali donazioni fatte saranno calcolate al momento della apertura della successione. Quanto al calcolo del patto di famiglia alla apertura della successione, vi sono due tesi:

1)      L’atto è neuro, e pertanto non dovrà essere calcolato;

2)      Si deve imputare il patto al beneficiario come qualsiasi altra liberalità (valore del bene – quanto dato a titolo di liquidazione agli altri partecipanti), così come si imputeranno dagli altri partecipanti quanto avuto a titolo di liquidazione.

 

I legittimari sopravvenuti ed il problema della partecipazione di tutti

L’art.768 quater utilizza l’espressione “devono partecipare” tutti i legittimari, prendendo quindi una precisa posizione sulla necessità o meno di tutti i soggetti legittimati (in questo senso Gazzoni mentre contra Petrelli). La necessaria partecipazione di tutti i legittimari ha inoltri anche un importantissimo fondamento logico: è necessaria infatti la partecipazione di tutti per la determinazione del valore da assegnare al bene oggetto del patto di famiglia. Ciò in quanto la stessa determinazione del valore della liquidazione avviene sulla base del valore assegnato al bene. Se quindi un soggetto si rifiuta di partecipare,  si paralizza tutta l’operazione.

Secondo questa ipostazione, funzione dell'art. 768 sexties c.c. sarebbe quello di prevedere un rimedio per i legittimari "sopravvenuti" (figli scoperti / riconosciuti o matrimoni contratti dopo l'atto). Solo in queste eccezionali ipotesi i legittimari sarebbe stati necessariamente impossibilitati a partecipare al patto di famiglia e, per tali ragioni, l'ordinamento appresterebbe loro tutela in questo modo.

 

Conclusioni:

-          non è un contratto plurilaterale ma bilaterale;

-          necessaria partecipazione di tutti i soggetti ex 768 quater a pena di nullità: tutti coloro che sarebbero legittimari (dopo non possono più esperire l’azione di riduzione). Il 768 sexties deve quindi essere letto solo in riferimento ai legittimari sopravvenuti e a tutti coloro che erano nell’impossibilità giuridica di partecipare.

-          Liquidazione: utiizzare i criteri del 536 c.c.; a tal fine può risultare opportuna una perizia di stima.

-          Problema del soggetto tenuto ad effettuare la liquidazione (la liquidazione del disponente e non dai beneficiari sarebbe una ulteriore liberalità indiretta: contro questa sarebbe esperibile l’azione di riduzione\collazione perchè non "coperta" dalla disciplina del patto di famiglia).

-          Patto di famiglia e riunione fittizia alla apertura successione: per alcuni si deve tener conto delle attribuzioni fatte a titolo di patto di famiglia per determinare il patrimonio ereditario (ferma restando l'inapplicabilità della azione di riduzione-restituzione) e imputarlo alla propria quota di legittima. Per altri invece sarebbe un patrimonio del tutto separato per cui non si applica né la riunione fittizia  né l’imputazione

-          Modifica o scioglimento pre recesso o mutuo dissenso: si applica l'art. 768 septies.

 

 

 

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