Gli elementi accidentali nel Testamento.

 

Gli elementi accidentali del negozio sono la condizione, il termine e l’onere.

Non sono elementi essenziali del negozio giuridico in generale, ed in particolare del testamento, ma una volta introdotti divengono parte integrante dello stesso e essenziali per l’efficacia del negozio.

 

La condizione. 

La condizione si distingue in:

-         causale: evento che prescinde da volontà soggetto

-         potestativa: evento che dipende dalla volontà dell’istiuito

-         miste: evento in parte casuale e in parte potestativo

E’ nulla solo la condizione sospensiva meramente potestativa (se vorrò) mentre è ritenuta valida quella meramente risolutiva, che altro non è che un’espressa enunciazione della facoltà di revoca.

La condizione è un evento futuro ed incerto, a differenza del termine e del modo.

L’evento dedotto in condizione ad una istituzione di erede non può essere la mera volontà di un terzo poiché si ricadrebbe nel divieto ex 631 per il principio di personalità.

La futurità dell’evento dedotto deve riferirsi al momento della redazione del testamento (secondo la regola generale che la futurità si riferisce al momento della conclusione del negozio) e non alla apertura della successione (deve quindi ritenersi lecita la condizione dell’assistenza del testatore fino alla sua morte).

 

Disciplina : durante la pendenza della condizione sospensiva non si ha ancora delazione, che avverrà quindi solo al momento del suo verificarsi; Prima del verificarsi della condizione si ha solo aspettativa di delazione.

Si ha invece una delazione attuale, con tutti i relativi effetti, in caso di condizione risolutiva.

In caso di legato sotto condizione risolutiva (639) o legato sotto condizione sospensiva (640), il beneficiario immediato può essere costretto a prestare garanzia, come tutela per la restituzione del bene. In mancanza della prestazione della garanzia potrà essere nominato un amministratore estraneo.

La disciplina dell’amministrazione in caso di condizione sospensiva è disciplinata dall’art.641, per cui spetta a coloro che sarebbero chiamati se la condizione non si verificasse, ossia al sostituito, ai coeredi in accrescimento o agli eredi legittimi.

Per “giusti motivi”(omessa o cattiva amministrazione) la A.G. può provvedere alla nomina di un amministratore estraneo.

Alla condizione testamentaria si applica:

-         il principio della retroattività degli effetti ex 1360 (per la condizione risolutiva restano invece validi solo gli atti di ordinaria amministrazione e i frutti sono dovuti solo dal prodursi della condizione);

-         L’art. 1359 circa la finzione di avveramento (si considera avverta se mancanza è imputabile al soggetto che aveva interesse contrario all’avveramento);

-          l’art. 1357 secondo cui sarebbe possibile anche in via testamentaria la trasmissione dell’aspettativa, che potrebbe essere un autonomo e valido oggetto di disposizione (non condizionata né con oggetto futuro).

Nel caso di mancanza della condizione sospensiva il chiamato non viene mai alla successione e l’eredità si devolve ai chiamati ulteriori (sostituti,eredi in accrescimento, eredi legittimi); se manca la condizione risolutiva la delazione si consolida e l’erede resta tale definitivamente.

 

L’art. 634 stabilisce che le condizioni impossibili o illecite si considerano non apposte (cd. regola sabiniana), a differenza della disciplina dei contratti (1354) che distingue quelle impossibili (non apposte) da quelle illecite (nulle), in base al principio del favor testamenti.

L’art. 634, nel disciplinare la salvezza della disposizione, fa tuttavia richiamo al 626 secondo cui il motivo illecito rende nulla la disposizione: si ritiene pertanto che detto richiamo attenga anche alla condizione impossibile.

La disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 634 c.c., relativa agli effetti della condizione impossibile apposta ad un testamento, si riferisce all’ipotesi dell’impossibilità originaria, ossia coeva alla redazione  della scheda testamentaria, e non all’ipotesi della impossibilità sopravvenuta. Pertanto se la condizione diviene impossibile in tempo successivo alla stesura del testamento si risolve in una condizione mancata e non più realizzabile, che non può essere equiparata, quanto agli effetti, all’impossibilità originaria (Cfr. giurisprudenza della Cass.).

 

 

Per verificare l’illeicità della disposizione a volte è sufficiente far riferimento al fatto dedotto in condizione: compiere un reato, obbligo di fissare/mantenere in un dato luogo la residenza, non alienare mai beni ereditari, far amministrare i beni di persona capace da un terzo.

Si ritengono illecite inoltre le condizioni che coartano la volontà del beneficiario mentre sono lecite le condizioni che assecondano una attitudine o un desiderio del beneficiario: in tal senso è ritenuta lecita una disposizione condizionata all’esercizio di una determinata professione o al conseguimento di un titolo (es: ti nomino erede a condizione che ti laurei).

Si ritiene valida la clausola “si sine liberis decesserit” (ossia nominare erede una persona sotto condizione risolutiva che muoia senza aver generato figli e contemporaneamente istituire eredi i figli sotto la medesima condizione sospensiva) tranne nella ipotesi in cui sia utilizzata per eludere il divieto della sostituzione fedecommissaria.

 

E’ illecita la condizione di reciprocità (635)(cd. captatorie), perché contraria alla spontaneità della volontà del testatore. Mentre il testamento reciproco è un vero contratto successorio, e quindi nullo ex 458, detta condizione non altera la natura unilaterale del testamento.

Ai fini dell’accertamento della reciprocità, si ritiene che ove detta condizione sia espressamente inserita solo nel primo testamento e non nel secondo, la reciprocità comunque è presunta e quindi bisognerà specificatamente provare la mancanza di influenza del primo testamento sul secondo. Ove invece tale clausola non sia inserita né nel primo né nel secondo testamento, tali atti saranno validi a meno che non si provi che vi fosse un accordo reciproco in tal senso.

 

Circa le condizioni matrimoniali (636) mentre sono ritenute valide le condizioni di sposare una persona o appartenete ad una categoria , si discute se vietate siano solo quelle clausole che prevedono un divieto assoluto di nozze, oppure anche quelle che deducono in condizione di non sposare una determinata persona o appartenete ad una categoria , che secondo parte della dottrina sarebbe valida in quanto si lascerebbe comunque libera la persona di sposare chiunque altro.

Altra autorevole dottrina interpreta il divieto estensivamente, ritenendo illecito ogni forma di condizionamento, e quindi sarebbero illecite anche la condizione di non sposare una determinata persona o una persona appartenete a categoria, qualora coartino la volontà del destinatario.

 

L’art. 636 comma 2 (validità del legato di usufrutto o di altra prestazione periodica per il tempo del celibato o della vedovanza) non prevede una vera e propria eccezione rispetto al divieto del primo comma perché attiene alla esigenza di provvedere ai bisogni della persona che si trovi in un determinato stato; si ritiene che detta disposizione operi sempre e automaticamente al solo verificarsi dei suoi presupposti. Detta disposizione può essere costruita come condizione sospensiva o risolutiva.

Non si ritiene valido, a tali fini, un matrimonio religioso senza effetti civili o una relazione more uxorio.

 

 La condizione di non fare o di non dare (648) (che ha origini nella cautio muciana in virtù del favor testamenti) si tratta di una conversione legale della condizione sospensiva negativa in condizione risolutiva (che quindi ha efficacia immediata) positiva , onde evitare che la disposizione rimanga per un tempo indeterminato priva di effetti.

Il 638 non si applica se il testatore abbia stabilito un termine il quale il dato avvenimento non si debba verificare.

Parte della dottrina ritiene che detta condizione si applichi analogicamente alla condizione sospensiva potestativa di fare e dare per un tempo indeterminato.

Non si applica il 638 qualora invece si tratti di condizione casuale negativa, anche se la disposizione è senza termine.

 

Clausole di decadenza: Sono le clausole che prevedono la risoluzione di disposizioni testamentarie nel caso in cui il beneficiario impugni il testamento o promuovi liti sull’eredità.

Si ritengono illecite se dirette ad impedire l’impugnazione del testamento contrario a norme imperative, buon costume e ordine pubblico.

Sono illecite inoltre tutte le disposizioni dirette ad impedire l’esercizio dell’azione di riduzione o di altre norme di natura pubblica (tali generalmente sono ritenute le norma di tutela giudiziaria), mentre sarebbero valide solo quelle “privatistiche” ossia che disciplinano l’impugnazione tra coeredi, relativamente alla porzione disponibile.

Per parte della dottrina sono invece sempre valide quando realizzano una richiesta dal parte del testatore di confermare il testamento ex 590.

 

 

 

Il termine.

Il termine di efficacia di una disposizione (iniziale/finale) si distingue dal termine di adempimento (che attiene alla esecuzione) e dal termine dei diritti (che attiene all’oggetto, proprio dei diritti  reali a tempo determinato attribuiti).

Il termine non può essere apposto alla istituzione di erede (637):

ciò in base del brocardo “semel heres sempre heres” (anche se più propriamente si riferisce alla irretrattabilità della accettazione), anche perché si avrebbe una ipotesi non possibile di proprietà temporanea, non ammessa dall’ordinamento.  

Per alcuni il divieto si spiega tenendo conto della irreversibilità degli effetti prodotti dalla confusione dei patrimoni mentre per altra autorevole dottrina tale divieto deve essere letto alla luce del 692 sulla sostituzione fedecommissaria: l’apposizione del termine infatti determinerebbe la chiamata di più eredi in modo successivo.

E’ sancito solo la nullità del termine apposto e non della istituzione di erede.

 

Si ritiene che il legato di usufrutto o proprietà possa essere sottoposto ad un termine, nel qual caso la titolarità non si trasferisce da un soggetto ad un altro ma o si estingue (usufrutto) od il bene “ritorna” all’erede.

Più discusso è il termine iniziale o finale coincida con la morte del beneficiario, perché anche in tali ipotesi si ricadrebbe nel 692.

 

L’onere. 

Consiste in un peso che il beneficiario di una liberalità subisce per volontà del disponente, e può consistere in un dare, fare o non fare, a favore del disponente o di un terzo.

Si ritiene che l’onere,  possa essere previsto in tutti (e solo) i negozi gratuiti e quindi testamento, donazione, comodato, mutuo gratuito e deposito, nonché nei negozi atipici a titolo gratuito.

Quanto alla natura giuridica sono sostenute le due tesi:

1) Tesi del negozio accessorio: secondo l’impostazione classica che elementi accidentali del negozio sono la condizione, il termine e l’onere in quando non sono elementi essenziali del negozio giuridico. In particolare con il modo il disponente vuole attuare un fine ul teriore che si aggiunge a quello principale del negozio gratuito, senza tuttavia condizionarlo. Il modo quindi  innesta sugli effetti principali tipici del negozio, altri effetti “accessori”.

 

2) Tesi (+) del negozio autonomo mortis causa: secondo cui l’onere non è accessorio ma indipendente, anche se collegato, alla istituzione di erede/legato, poiché caratterizzato dalla ambulatorietà, in quanto può trasmigrare a favore di altri soggetti (676-577).

E’ infatti possibile un testamento che contenga solo disposizioni modali, dove l’onerato sarà individuato ex 629 comma 2.

 

L’onere impossibile e illecito si considera, come la condizione, non apposto. E’ nullo se era stato il solo motivo determinante. Se l’impossibilità o l’illeicità è sopravvenuta, comporta solo l’estinzione dell’obbligazione nascente dal modus.

Circa l’obbligazione a cui l’onerato è tenuto, mentre per alcuni detta obbligazione deve necessariamente avere natura patrimoniale ex 1174, per altri sarebbe sufficiente prevedere una clausola penale per rendere matrimonialmente valutabile la prestazione.

Se il valore dell’onere è maggiore rispetto ai beni ricevuti, c’è l’obbligo solo nel limite del valore della cosa, considerandosi impossibile (non apposta se non determinante) se la prestazione è indivisibile.

Si discute sulla applicabilità del 2932, che invece sarebbe abblicabile in caso di legato obbligatorio di contratto. Si propende per la tesi positiva l’odinamento tutela  anche i titolari di interessi morali che possono agire in giudizio anche per ottenere l’esecuzione coattiva.

E’ possibile inoltre anche l’azione per il risarcimento del danno dal momento che il 647 consente do poter imporre all’onerato una cauzione per garantire i danni da inadempimento.

 

 

Onere e Legato obbligatorio: entrambi hanno il medesimo effetto di obbligare l’onerato ad una data attività dopo l’apertura della successione e quindi trattasi in entrambi i casi di acquisti indiretti. Occorre a tal proposito indagare la volontà del testatore se abbia voluto congiurare l’obbligo come onere o come legato.

Mentre nell’onere il beneficiario è indeterminato, nel legato invece è sempre determinato.

Genghini: Legato o onere sono due strade ugualmente percorribili, ovviamente, hanno due discipline diverse. Il criterio della determinatezza o meno del beneficiario, così come altri criteri individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguardano unicamente l’interpretazione dei testamenti olografi.

Se una disposizione è un legato o un onere dipende solo dalla volontà del testatore, si tratta perciò ancora una volta di una quaestio voluntatis, è lui a dover determinare se qualificarlo come onere o come legato.

Quando il testatore mi dice: “voglio porre l’obbligo” quest’ultima parola mi fa immediatamente pensare che la volontà del testatore (unico criterio discretivo tra legato ed onere!) sia quella di fare un onere (obbligo: ontologicamente onere).

 

Onere e condizione: si distinguono per la struttura, dato che il modus è negozio autonomo mentre la condizione è elemento accessorio e per gli effetti poiché il primo obbliga-costringe (è un effetto in aggiunta) a una attività mentre il secondo condiziona(sospende) la disposizione. Stante la diversità, possono quindi anche coesistere.

La condizione risolutiva inoltre opera automaticamente e con effetti retroattivi reali mentre il modus deve essere fatto valere giudizialmente in caso di inadempimento ed ha solo una retroattività obbligatoria (come la risoluzione per inadempimento).

Per distinguere condizione e onere inoltre mentre la prima è sempre determiante, il secondo può ma non deve essere determiante. Solo quando ogni criterio risulta insoddisfacente, si applicherà poi il 1371 per cui il negozio gratuito deve intersi nel senso meno gravoso per l’onerato e quindi come condizione che non costringe.

 

Circa i legittimati a richiedere l’adempimento, secondo la giurisprudenza sono legittimati tutti coloro che sono avvantaggiati dall’adempimento (qualsiasi interessato) mentre legittimati per la risoluzione sono coloro che sono destinati a sostituire l’onerato inadempiente e coloro che possono agire per l’adempimento.

Secondo parte della dottrina(-) la legittimazione all’adempimento sarebbe conessa alla titolarità dei diritti soggettivi.

Nella risoluzione contrattuale la legittimazione spetta solo a chi ha interesse al ripristino della situazione anteriore, ossia al contraente.

 

Quanto alla risoluzione ex 648 comma 2 si ritiene che questa abbia natura sui generis rispetto alla normale risoluzione contrattuale (che presuppone prestazioni corrispettive e un difetto funzionale della causa): non comporterebbe infatti la restitutio in integrum (reintegrazione della situazione precedente) ma soltanto la sostituzione del titolare del bene attribuito dal defunto, che subentrerà anche nell’obbligo. Mentre si ritengono applicabile le norme contrattuali sull’inadempimento del modo ( 1453 comma 1- risoluzione, 1454-diffida, 1455-importanza dell’adempimento, 1457- tremine essenziale) non si ritiene applicabile il comma 2 del 1453 che esclude l’adempimento se si è domandata la risoluzione, data la diversità anche del fondamento tra i due tipi di risoluzione.

La risoluzione del modo non opera di diritto ma solo a seguito della sentenza costitutiva del giudice, che non ha retroattività reale e quindi sono opponibili all’erede gli atti di disposizione posti in essere dall’onerato inadempiente.

La risoluzione comporta la devoluzione dei bei ai chiamati ulteriori (sostituiti, coeredi in accrescimento, eredi testamentari, eredi legittimi) che subentreranno anche nel modus stante la sua ambulatorietà.

 

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