Pegno su Azioni

 

  1. Introduzione

 

In tema di pegno su azioni la novità più importante introdotta dalla riforma del 2003 risiede nella specificazione per cui, in caso di aumento del capitale sociale a pagamento, al titolare della partecipazione sottoposta al vincolo spettano, tanto l’esercizio del diritto d’opzione, quanto le azioni in base alle stesse sottoscritte (art. 2352, 2° comma c.c.). Nel secondo, invece, che nell’ipotesi di aumento del capitale ai sensi dell’art. 2442 c.c., il pegno si estende automaticamente alle azioni assegnate gratuitamente ai soci (art. 2352, 3° comma c.c.). E’ sempre fatta salva una diversa previsione nello Statuto.

In presenza di un vincolo pignoratizio sulle azioni, la titolarità dei diritti amministrativi diversi dal voto è attribuita non solo al debitore in quanto socio, ma, anche, ad un altro soggetto, quale il creditore pignoratizio. Dal che, si osserva la legittimazione di ciascuna parte del rapporto di garanzia ad un esercizio disgiunto dei diritti in questione, “salvo che dal titolo non risulti diversamente”. Nulla impedisce, infatti, alle parti di optare per una diversa soluzione, ad esempio attribuendo la titolarità – di uno o più di siffatti diritti – in via esclusiva ad una soltanto di esse.

 

  1. Oggetto del pegno

 

Un primo orientamento cd. reale, partendo da una concezione dell’azione come res corpolaris, ritiene che si possa disporre del diritto e della conseguente azione secondo le regole proprie del diritto di proprietà e della sua relativa disciplina giuridica della circolazione. Questa concezione pertanto assimila l’azione ad un bene mobile e ravvisa negli art. 2786 e s.s. il parametro normativo di riferimento. Allo stato attuale questo è l’orientamento prevalente.

Una seconda tesi invece ritiene che il riferimento al pegno abbia un carattere meramente indicativo ma non sostanziale: la considerazione dell’azione quale res, infatti, avrebbe rilievo essenzialmente sul piano dinamico della negoziazione della stessa e non, invece, su quello essenzialmente statico sul quale opera il pegno di azioni.

Bisogna poi identificare con maggior precisione quale sia il valore costituito a garanzia dell’adempimento della relativa obbligazione e destinato alla realizzazione delle pretese creditorie.

Al riguardo alla posizione dominante in dottrina e supportata anche da una recente pronuncia giurisprudenziale nega che siffatto oggetto possa ravvisarsi nel complesso delle posizioni connesse alla partecipazione sociale dal momento che:

a)      Il diritto di pegno non è un diritto di godimento ma di garanzia per cui l’attribuzione al creditore pignoratizio dei diritti sociali è solo strumentale alla conservazione patrimoniale;

b)      Il rapporto tra patrimonio sociale e azioni in pegno è solo in termini quantitativi e non qualitativi: sarebbe infatti impossibile per il creditore procedere alla esecuzione forzata dei beni costituenti il patrimonio sociale (ch, per loro natura, potrebbero inoltre essere insuscettibili di pegno come gli immobili).

Pertanto si ritiene che l’oggetto sostanziale del vincolo di pegno sia nel valore dell’azione ricevuta. Il valore sarebbe più precisamente rappresentato dal valore di mercato mente del tutto irrilevante sarebbero il valore nominale e quello contabile delle azioni: il primo perché rappresentativo del rapporto tra capitale e numero di azioni e perciò non potrebbe costituire il prezzo di vendita della partecipazione; il secondo, desumibile dal bilancio, perché determinato secondo criteri prudenziali con cui viene redatto il bilancio stesso.

 

  1. Il vincolo del pegno nelle operazioni di capitale

 

L’Aumento gratuito è regolato dall’art. 2352 c.3 per cui il vincolo si estende automaticamente alle azioni assegnate gratuitamente (sia di nuova emissione sia nella ipotesi di aumento del valore nominale). Ciò in quanto si verifica un passaggio di ricchezza già esistente dal patrimonio (riserve) a capitale, restando invece inalterato il valore economico del patrimonio sociale stesso.

Secondo altra parte della dottrina la norma si giustificherebbe con una tutela delle aspettative del creditore pignoratizio che, nella ipotesi di aumento gratuito vedrebbe sacrificate le proprie aspettative venendo meno, con l’aumento del capitale nominale, la possibilità di una futura distribuzione del dividendo.

Nulla invece è stabilito nella ipotesi di riduzione reale del capitale, dove il patrimonio già si è diminuito a causa della perdita. La riduzione del capitale comporta infatti una riduzione proporzionale del valore nominale delle azioni, e quindi dell’oggetto di garanzia dei creditori.

 

      4.   Segue: diritto di voto.

 

L’art. 2352, come detto, disciplina espressamente le ipotesi di vincoli su azioni.

In caso di pegno ed usufrutto su azioni il diritto di voto, salvo diversa convenzione, spetta all’usufruttuario e al creditore pignoratizio.

E’ discusso il fondamento di tale scelta: secondo una prima tesi cd. “dominicale” tale attribuzione è giustificata dalla applicazione dei principi generali in tema di pegno ed usufrutto. In particolare in caso di pegno la possibilità di esercitare il diritto di voto viene ritenuta espressione del dovere di conservazione e custodia della cosa pignorata, in caso di usufrutto invece viene considerato naturale esplicazione del diritto di usare ed amministrare la res.

Secondo invece una tesi “societaria” l’attribuzione del voto ai suddetti soggetti viene considerato come rispondente alle esigenze del corretto funzionamento della attività sociale.

Aderire ad una o all’altra tesi incide sulla determinazione dei limiti che devono essere osservati dall’usufruttuario o dal creditore pignoratizio: secondo la tesi “dominicale” la loro attività deve essere indirizzata alla amministrazione e custodia dei beni, astenendosi dal perseguire interessi propri in contrasto con quelli del debitore \ nudo proprietario. A tal fine si ritiene opportuno che, per le decisioni di maggior rilevo, vi sia un accordo con il debitore \ nudo proprietario circa il modo di esprimere il voto.

Secondo la tesi “societaria” al contrario detti soggetti sarebbero liberi di votare in qualsiasi modo, rilevando solo un eventuale abuso del diritto o una violazione dei principi generali di correttezza.

La giurisprudenza sembra attualmente essere orientata verso la tesi “dominicale”.

L’eventuale violazione dei diritti di voto ha rilevanza solo interna e danno luogo ad un eventuale risarcimento del danno, e eventualmente al ricorso dei rimedi ex 1015 e 2793 c.c., non incidendo sulla validità del voto o della delibera.

L’art. 2352 fa salva una apposita convenzione contraria, a carattere bilaterale e accessoria (e quindi la forma sarà per relationem) rispetto alla costituzione del diritto reale. Per l’opponibilità alla società saranno necessari, come per la costituzione del vincolo, il trasfert (o la girata) e l’annotazione nel libro soci.

Problema se l’usufruttuario o il creditore siano o meno soci:  si ritiene di NO perché il II° comma dice che il diritto di opzione viene offerto al socio che sarebbe il nudo proprietario: quindi, il socio è il nudo proprietario e l’usufruttuario non è socio.

( Per le srl., in caso di cessione di partecipazione con riserva di usufrutto, in caso di particolari diritti, l’usufruttuario in quanto non socio, non potrà continuare ad avere i particolari diritti, per cui sarà necessario che conservi almeno una piccola parte della partecipazione così da poter continuare ad avere i particolari diritti.

Era possibile ipotizzare che un’apposita clausola statutaria attribuisse i particolari diritti all’usufruttuario, perché è assolutamente opportuno, in caso di creazione di particolari diritti di cui all’art. 2468 c.c., andare a disciplinare statutariamente le varie ipotesi di cessioni di quota.)

 

        5.   Segue: diritto di opzione, liquidazione della società e riduzione volontaria

 

Quanto al diritto di opzione (2441) questo è di titolarità del socio, mentre l’esercizio dello stesso spetta all’usufruttuario o al creditore pignoratizio, che dovrà esercitare in assemblea lo stesso. Per tale motivo, per tutte le decisioni che attribuiscono un diritto di opzione, si ritiene opportuno un accordo di tali soggetti su come votare e se esercitare il diritto di opzione. Il socio dovrà versare le somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza (e solo successivamente sarà possibile una sua alienazione) e le relative azioni sottoscritte spetteranno solo al socio, libere da qualsiasi vincolo.

Quanto alla possibilità che il creditore pignoratizio eserciti l’opzione spettante al debitore, questo potrà esperire solo l’azione surrogatoria (2900) solo qualora ne ricorrano i presupposti oppure acquistare l’opzione (eventualmente con compensazione del prezzo con il credito vantato) secondo la disciplina propria dell’art. 2352 comma 2: a mezzo di banca o altro intermediario quando il socio non abbia versato le somme tre giorni prima dalla scadenza e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo).

Quanto infine alla possibilità di estensione del vincolo pignoratizio per le nuove azioni optate, l’orientamento prevalente è nel senso di escludere l’estensione del vincolo alle azione optate, mentre di ammetterla per il ricavato della vendita del diritto di opzione. La diversità della soluzione deriva dai diversi piani su cui le due fattispecie operano, rispettivamente quello organizzativo dei poteri sociali e quello individuale di disposizione.

Analoga soluzione è da seguire nella ipotesi di liquidazione della società in presenza di patrimonio distribuibile ai soci (dopo il pagamento dei creditori sociali). In tale ipotesi infatti il creditore personale del socio vanterebbe dei diritti sull’utile distribuito, anche nella ipotesi di cessione di beni in natura di per sé non pignorabili (immobili). Si avrebbe infatti una sorta di sostituzione dell’oggetto del pegno ex 2803 circa le modalità di riscossione del credito dato in pegno (ossia può farle vendere).

Tale soluzione, data l’identità di ratio, troverebbe applicazione in tutti i casi in cui al socio venisse attribuita una porzione del patrimonio della società.

Ciò si verifica nella ulteriore ipotesi di riduzione volontaria del capitale ex 2445 dove si rimuove il vincolo di indisponibilità che grava su quella parte di patrimonio che era assegnata a capitale.

Anche in tale ipotesi pertanto si dovrebbe avere una estensione del vincolo sulla parte di patrimonio rimborsata al socio, anche con l’applicazione del 2803.

 

6.  Segue: l’ipotesi dell’azzeramento del capitale e della sua ricostituzione.

 

Interessante è infine analizzare come il vincolo pignoratizio si atteggi nella ipotesi di perdite pari o superiori al capitale sociale.

E’ infatti da osservare che per effetto della riduzione a 0 del capitale l’unica utilità delle vecchie azioni consiste nella possibilità di esercitare il relativo diritto di opzione (tesi cmq criticata da una parte della dottrina).

Di conseguenza, ove la società decidesse di ricostituire il capitale sociale, spetterebbe al socio titolare l’esercizio del diritto di opzione e la relativa sottoscrizione dell’aumento, con totale eliminazione del vecchio vincolo pignoratizio coerentemente a quanto si è detto in tema di aumento oneroso di capitale.

Per tali motivi si è sostenuta la tesi che nella ipotesi di riduzione a zero del capitale seguita dalla liquidazione della società (e non dalla ricostituzione del capitale), la partecipazione potrebbe presentare ancora un suo contenuto economico al quale potrebbe estendersi il vincolo pignoratizio. Infatti il patrimonio potrebbe presentare comunque un attivo netto in quanto nel bilancio alcuni valori non sono iscritti (come l’avviamento) oppure sono determinati con criteri prudenziali non corrispondenti al loro vero valore di mercato.

Qualora quindi venisse deliberato lo scioglimento della società, il creditore potrebbe soddisfarsi sulla parte di attivo assegnato al socio.

 

         7. Trasformazione della società e conclusioni

 

 La trasformazione modifica in modo rilevante l’intero assetto della società, senza però estinguerla. La società pertanto continua pertanto a vivere in una rinnovata veste giuridica in quanto “conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti dell’ente che ha effettuato la trasformazione (2498)”.

L’art. 2471 bis prevede che la partecipazione può formare oggetto di pegno, fatta eccezione per l’espropriazioni di partecipazioni non liberamente trasferibili.

Si ritiene infine che anche la quota di una società di persone possa essere oggetto di diritto reale di garanzia, pertanto in caso di trasformazione il pegno si trasferirebbe proporzionalmente sulla quota rappresentativa della partecipazione del socio nella nuova società. In tale ipotesi, ai fini della assunzione della responsabilità illimitata, sarebbe necessario sia il consenso del socio titolare che quello del creditore pignoratizio.

 

In ultima analisi seppure l’art. 2352 abbia avuto il pregio di regolare alcune fattispecie, appare sempre opportuno, anche per quanto non previsto dalla stessa norma, demandare all’autonomia privata delle parti la puntuale regolamentazione dei singoli aspetti o vicende che potrebbero coinvolgere il vincolo in oggetto.

 

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