Cessioni di partecipazioni di Società di Persone: Teorie, Natura ed eventuali garanzie patrimoniali

 

1) La quota di Società di persone e la sua natura

2) Il trasferimento di quota per atto inter vivos.

3) Clausola di libera cedibilità: validità.

4) Effetti della cessione di quote di società di persone.

5) Cessione di quote (e di azioni) - patrimonio e relative garanzie

 

1) La quota di Società di persone e la sua natura

Il termine "quota", nelle società di persone, ha una molteplicità di significati:

a) Status personale,

b) diritto di natura corporativa,

c) posizione contrattuale,

d) quota di società, con titolarità del patrimonio sociale,

e) diritto di credito,

f) misura del conferimento del socio,

g) il valore della partecipazione sociale,

h) il complesso dei diritti , delle facoltà e degli obblighi che competono o gravano il socio. E’ questa la natura ora generalmente accolta.

Si è discusso se tale "quota" avesse natura reale o personale e si è perfino affermato che costituisse un tertium genus, con entrambi i caratteri (Carnelutti, Teoria

generale della circolazione, p.40).

Si è anche ritenuto che semplicemente costituisse il diritto alla qualità di socio (Asquini).

Per le società di persone la giurisprudenza ha affermato (Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it. 1997, 2172 nota La Rocca; in Giust. Civ. 1997, 2177 nota Vidiri): Le quote sociali, anche nelle società di persone, costituiscono beni nel senso dell'art. 810 cod. civ. in quanto suscettibili di formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente alla categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812 ultimo comma, atteso che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti i diritti nei quali si compendia lo status di socio, non riducibili a mere posizioni creditorie. Non può seriamente dubitarsi, infatti, che alla quota facciano capo una serie di diritti (oltre che di obblighi), come quelli:

a) a partecipare alla gestione del patrimonio sociale e ad impedire che altri soci si servano delle cose ad esso appartenenti per fini estranei allo scopo della società (art. 2256 cod. civ.),

b) ad amministrare o, comunque, ad esprimere il proprio voto in caso di contrasti tra gli amministratori sulle operazioni da compiere (art. 2257),

c) a chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa degli amministratori (art. 2259),

d) a percepire gli utili (art. 2262),

e) ad esercitare il controllo sull'amministrazione attraverso la richiesta di notizie, la consultazione di documenti e il rendiconto (art. 2261),

tutte cose in cui si compendia lo status di socio e che impediscono di considerare riduttivamente la quota come un puro e semplice diritto di credito. Ne deriva che, allorquando ne sia controversa la titolarità, anche le quote di una società di persone possono essere assoggettate a sequestro giudiziario, senza che a ciò sia d'ostacolo la riferibilità, nel suddetto tipo societario, della vita della società ai soci nel loro insieme, poiché proprio la possibilità per il singolo socio di influenzare e condizionare con l'esercizio dei poteri riconosciutigli dalla legge, l'andamento della compagine sociale può rendere opportuno che in attesa della definizione della controversia sulla titolarità della quota, tali poteri siano esercitati da un gestore imparziale e disinteressato, conformemente alla previsione dell'art. 670 n. 1 cod. proc. civ., il quale, nella considerazione che oggetto del sequestro possa essere anche un entità dinamica, di cui assicurare una corretta e imparziale amministrazione, prevede accanto allo strumento della custodia anche quello della gestione temporanea.

In tempi recenti si è affermata la opinione secondo la quale la quota è una posizione soggettiva caratterizzata da un insieme di diritti e di doveri, come ogni altra posizione contrattuale, che si inserisce in un rapporto contrattuale e precisamente nello stesso rapporto genetico della società, la cui tipicità consente di chiamare tipici anche i diritti e i doveri che da esso derivano.

Le categorie del diritto assoluto e del diritto relativo, non sembrano adeguate per comprendervi le posizioni soggettive derivanti dai contratti associativi; la

quota è la sintesi che comprende tutte le situazioni facenti capo al socio, la misura della partecipazione alla società.

La perdita della qualità di socio si ha con il recesso, che non è modo di estinzione dei diritti ma dei rapporti contrattuali (art. 1373 c.c.).

È la riconducibilità delle partecipazioni sociali entro lo schema delle posizioni contrattuali, che consente di affermare che per studiare la circolazione delle

partecipazioni sociali si deve richiamare l’istituto della cessione del contratto (art. 1406 cod. civ.). Rubino, ne La compravendita (p.230 n.80) afferma che

la cessione di quote, se consentita, non sarebbe vendita, neppure se fatta contro corrispettivo di un prezzo, ma sarebbe cessione di contratto (contra:

Cass. 1996 n.2843 di seguito richiamata).

Ghidini (Società personali, 657 segg.) ritiene che il contratto di società, ancorché con comunione di scopo, non può escludersi che vi sia corrispettività fra le prestazioni di ciascun socio ed il risultato del conseguimento dell’oggetto sociale e dello scopo.

La Cassazione ha affermato che il contratto di società è un contratto commutativo (Cass. 27 febbraio 1976 n.639 in Riv. dir. comm. 1977, 2,279 nota Pennacchio; in Giust civ. 1976,895 nota Di Amato) e, inoltre, che, in quanto tale, nei congrui casi può essere assoggettata alle norme dettate per i contratti a prestazioni corrispettive (sent. 16 aprile 2003 n.6016 in Giur. comm. 2004, 2, 384 nota Buonocore; e Cass. 28 marzo 1996 n.2843 in Foro it. 1996, 3382 nota Vasques; in Giur comm. 1998,2,362 nota Calì; entrambe redattore Rordorf).

La principale obiezione contro questo inquadramento (Messineo, Riv. Soc. 1966, 958 nota 1; Rivolta, La partecipazione sociale,279) attribuisce la disciplina dell’art. 1406 c.c. soltanto ai contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali certo non rientra il contratto di società.

Osserva Messineo che il contratto di società è tra socio e socio ed esula da esso ogni rapporto tra socio e società, Talché ogni trasferimento avrebbe efficacia soltanto inter partes. Si obietta che se è vero che le società personali sono prive di personalità, esse tuttavia sono dotate di autonomia limitata, nelle società semplici, e notevole in quelle in nome collettivo (n.c.) ed in quelle in accomandita semplice (s.a.s.). Tale autonomia, che si estrinseca nei rapporti esterni ed in quelli interni, può giungere per il Ghidini, sino ad ipotizzare la possibilità per la società (contraente ceduto) di dare o negare il consenso al perfezionamento della cessione.

La configurazione della cessione di quota come cessione di contratto, peraltro, non comporta (per alcuni A.) la validità della cessione inter partes anche senza il consenso del contraente ceduto (tesi peraltro minoritaria in dottrina per la cessione del contratto), ma in ogni caso la invalidità della cessione della quota posta in essere senza il consenso degli altri soci, invalidità che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (così Buttitta; contra: Cass. 10 ottobre 1975 n. 3233 e trib. Trieste 2 luglio 1984 per le quali la cessione fatta senza consenso dei soci, trasferisce le entità patrimoniali al cessionario, ma irrilevante per la società –ceduta-).

2) Il trasferimento di quota per atto inter vivos.

La regola è quella della necessaria unanimità desumibile dall’art. 2252 c.c. che sancisce inammissibilità della cessione della qualità di socio senza il consenso di tutti i soci .

La disciplina per il caso di morte del socio è contenuta nell’art. 2284, per il quale la regola è la liquidazione della quota agli eredi, salvo che i restanti soci non intendano sciogliere la società o continuarla con gli eredi con il loro consenso.

E' prevista invece una disciplina specifica per la cessione di quote degli accomandanti (art. 2322).

Comunemente si afferma che la norma si giustifica per l’irrilevanza della identità del socio accomandante, socio capitalista estraneo alla gestione della società; si tratterebbe di una eccezione all’art. 2252, richiedendosi soltanto il consenso della maggioranza dei soci.

La norma, per la sua eccezionalità, non è estensibile né ad altri tipi sociali, né ai soci accomandatari. Ne è conferma la diversa disciplina successoria: mentre l’erede del socio accomandante gli subentra (salvo patto contrario) senza alcuna necessità del consenso degli altri soci, l’erede del socio accomandatario ha diritto alla liquidazione della propria quota (art. 2284 c.c.) può subentrargli previo consenso degli altri soci accomandatari e dei coeredi.

La giurisprudenza (Cass. 10 aprile 1979 n.2055) ha qualificato tale consenso come condicio iuris.

Con la sostituzione di un socio ad un altro socio che si ha per effetto della cessione di una quota sociale, non vi é dubbio che si verifica una modificazione del contratto sociale e pertanto la norma alla quale si deve avere riguardo é l’art. 2252 cod.civ., che a tal fine richiede il consenso unanime dei soci (si é visto che non é applicabile né estensivamente, né per analogia, l’art. 2322 cod.civ. che riguarda esclusivamente la cessione di quota dell’accomandante).

Ma occorre riferirsi altresì all’art. 1406 cod.civ. (cessione del contratto), per la quale occorre che ricorrano tre condizioni:

a) che si tratti di contratti a prestazioni corrispettive;

b) che le prestazioni non siano ancora state interamente eseguite da alcuna delle parti;

c) che il contraente ceduto consenta alla cessione.

Per quanto attiene alla prima condizione sub a), il contratto di società, pur non essendo a prestazioni corrispettive, é, come si é visto, un contratto commutativo; nel contratto di scopo vi é comunque una corrispondenza tra conferimento e scopo da raggiungere; quella sub b), sebbene i conferimenti siano già avvenuti, residuano altre prestazioni alle quali i soci sono tenuti (ad esempio prestare le integrazioni necessarie).

Occorre esaminare quella sub c), il consenso del contraente ceduto.

La giurisprudenza (Cass. 23 aprile 1980 n.2674 in Riv. Not. 1980,1560) ha ritenuto che la cessione del contratto realizza un negozio plurilaterale, per il cui perfezionamento è necessaria la partecipazione di tutti e tre i soggetti interessati, cedente, cessionario e ceduto. D’altra parte (Cass. 20 ottobre 1972 n.3170, in Giur. It. 1973, 360; Giust.civ. 1973, 1576; Foro it. 1973, 701) la cessione di un contratto con prestazioni corrispettive è un negozio giuridico plurilaterale che postula l'intervento di tre soggetti il cedente, il cessionario ed il ceduto. Il consenso del contraente ceduto non può assumere la forma ed il valore di una mera adesione all'accordo già intervenuto tra il cedente ed il cessionario, in quanto è, invece, elemento costitutivo della cessione medesima, la quale non può essere che la risultante della fusione delle dichiarazioni di volontà e degli interessi del cedente, del cessionario e del contraente ceduto. ( conf 41'69, mass n 337858).

Ma questi principi, applicati alla cessione di quote di società, comporta la necessità del consenso della società. A questo riguardo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 10 ottobre 1975 n.3233) ha affermato: in tema di trasferimento di quota di partecipazione ad una società di persone, la mancanza del consenso degli altri soci, necessario al fine del subingresso del cessionario nella posizione giuridica del cedente e, cioè, della modifica soggettiva del patto sociale, non trasforma, nei rapporti fra le parti, in contratto preliminare il negozio voluto e stipulato come definitivo, è quindi attuativo di un immediato e diretto trasferimento della quota medesima.

Affermazione, questa, che peraltro deve essere integrata dalla constatazione che detta cessione resta inefficace rispetto alla società ed agli altri soci, rispetto ai quali la qualità di socio permane in capo al cedente.

Ed è appunto a questo riguardo opportuno ricordare che la giurisprudenza (Cass. 10 aprile 1979 n. 2055) ha affermato: Il consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale, richiesto dall'art. 2322 cod. civ. per il trasferimento della quota sociale di una società in accomandita semplice (N.B.: così per la società in accomandita, ma l’unanimità per le altre società di persone), non incide sul perfezionamento e sulla validità del negozio di cessione, ma opera come una condicio iuris per l'opponibilità del trasferimento della quota sociale alla società. Dal che si deduce che nella cessione possono distinguersi due effetti:

- quello tra cedente e cessionario, avente in genere contenuto patrimoniale e che non necessita del consenso degli altri soci;

- quello tra cessionario e ceduto (la società), che si produce soltanto in presenza del consenso dei soci richiesto dalla legge.

3) Clausola di libera cedibilità: validità.

Questo per quanto concerne la disciplina legale; ma si pone il problema se le parti nel contratto sociale possano stabilire –in deroga- la libera cedibilità della quota pur in assenza del consenso degli altri soci.

E’ al riguardo già significativo che l’art. 2322 contenga l’inciso “Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo” e l’art.2252 “se non è convenuto diversamente.”; in effetti si tratta di interessi delle parti, da queste liberamente disponibili, anche con riferimento alla rilevanza dell’intuitus personae, che se è elemento caratteristico delle società di persone, non ne è certo elemento inderogabile.

4) Effetti della cessione di quote di società di persone.

La disciplina é quella desumibile dagli art- 1406-1410 cod.civ.

Per quanto attiene ai rapporti tra società e socio cedente, intervenuto il consenso dei soci e notificato alla società l’avvenuto trasferimento, la cessione si perfeziona ed il cedente é liberato dalle sue obbligazioni nei confronti della società in quanto nella sua posizione subentra il cessionario (art. 1408 1° comma),  salvo che il ceduto (la società) non abbia dichiarato di non liberare il cedente (2° comma) nel qual caso la obbligazione del cedente é sussidiaria e solidale; il ceduto é tenuto a comunicare al cedente l’inadempimento del cessionario (ultimo comma).

Nei rapporti tra società e socio cessionario, che subentra in tutti i diritti e gli obblighi inerenti alla condizione di socio, per l’art. 1409 cod.civ. : Il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, ma non quelle fondate su altri rapporti col cedente, salvo che ne abbia fatta espressa riserva al momento in cui ha consentito alla sostituzione. Questa disposizione ha efficacia bilaterale, e vale sia per il ceduto nei confronti del cessionario, sia per il cessionario nei confronti del contraente ceduto. Pertanto il cessionario non sarà titolare dei diritti (ad esempio ad amministrare la società), né tenuto alle obbligazioni o limitazioni (ad esempio esclusione dall’amministrazione) che gravavano sul cedente, strettamente collegati alla sua persona (vale a dire intuitu personae).

Nei rapporti tra socio cedente e cessionario della quota vige la disciplina dell’art. 1410: Il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto e ciò sia per quanto concerne la validità e la esistenza del contratto, sia la titolarità del cedente della posizione contrattuale ceduta (la quota). É esclusa la garanzia dell’adempimento del contratto.

Effetti della cessione nei confronti dei terzi. Sono applicabili per analogia gli art. 2269 (Chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.) e 2290 (Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.).

5) Cessione di quote (e di azioni) - patrimonio e relative garanzie

Per le soc. di capitali la giurisprudenza ha affermato (Cass. 9 settembre 2004 n.18181): Le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di "secondo grado", in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Ed inoltre (Cass. 26 maggio 2000 n.6957 in Giur. It. 2000, 2309 nota Grassi Reverdini; in Le soc. 2000, 1331, nota Collia):

La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell'art. 812 cod. civ., onde ad essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813 cod. civ., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, giacché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti e non come un mero diritto di credito.

La pronuncia non arriva all’estrema tesi, secondo cui si acquista la quota astratta di comproprietà dei bei singoli beni, e pertanto applicare, a prescindere da una espressa pattuizione, le garanzie per evizione e vizi qualora il patrimonio reale fosse difforme da quello risultante dai libri contabili; ma la stessa riconosce che la costituzione di una società di capitali non dà luogo alla creazione di nuovi beni, ma è il presupposto per l'istituzione di un diverso regime di utilizzazione dei beni, senza recidere ogni collegamento con i soci che hanno loro impresso quella destinazione, in quanto detti soggetti diventano membri di una collettività organizzata, acquistando una posizione giuridica che li abilita a partecipare alla gestione collettiva dei beni in questione.

E' chiara la differenza tra il caso in cui le parti abbiano attribuito rilievo, mediante la previsione di specifiche clausole contrattuali di garanzia, alla consistenza del patrimonio sociale o a particolari caratteristiche dei beni in esso compresi ed il caso in cui tale clausola non si stata prevista.

La sentenza della Cass. 33797 del 2004 attenua la differenza tra le due situazioni enunciate laddove afferma che a volte i beni sociali non possono essere estranei all'oggetto del contratto di cessione delle partecipazioni di una società di capitali, specie quando queste ultime rappresentino l'intero capitale; non solo nell'ipotesi in cui le parti abbiano fatto esplicito riferimento, con garanzie, alla consistenza del patrimonio sociale o a particolari caratteristiche dei beni in esso ricompresi, ma anche quando l'affidamento del cessionario sulla ricorrenza di tali requisiti debba ritenersi giustificato, nella situazione concreta, secondo il principio di buona fede.

Quanto ai possibili rimedi, non vi è dubbio che ben più ristretto è l'ambito di applicazione della azione fondata sulla consegna di aliud pro alio rispetto a quella fondata sulla mancanza di qualità essenziali o promesse.

Per quest'ultima, la valutazione è rimessa alle parti ed, in particolare, alla promessa del venditore; nell'azione fondata sull’aliud pro alio, occorre verificare, indipendentemente da ogni promessa del venditore, che la partecipazione trasferita si configuri in realtà, avendo riguardo ai diritti che ineriscono ad essa, come qualcosa di completamente diverso rispetto a quella ceduta (Cass. 13925/2002 e 1971/2001). L’ipotesi ricorre, secondo la Corte suprema, qualora i beni consegnati sono non soltanto difformi, ma anche assolutamente privi delle capacità funzionali a soddisfare i bisogni dell'acquirente, e quindi radicalmente diversi da quelli pattuiti.

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