La posizione e la tutela del Convenuto

(Tratto dal Mandrioli Cap.5)

 

1.      La tutela del convenuto: l’inerzia e le sue conseguenze

Il convenuto è presente nel processo per il solo fatto di essere stato regolarmente citato ex art. 101 e, in quanto tale, assume la qualità di parte del processo nonostante non abbia svolto alcuna attività difensiva e non si sia presentato in udienza (cd. contumacia).

L’inerzia del convenuto non pregiudica in alcun modo il regolare svolgersi del processo né rende di per sé scontato il suo esito; il giudice dovrà comunque verificare la sussistenza del diritto vantato in base alle prove prodotte e, l’unica sostanziale differenza, consiste nella impossibilità del convenuto stesso di sollevare eccezioni o proporre nuove domande.

 

2.      La partecipazione attiva

Si sottolinea come anche nella ipotesi (di scuola) che il convenuto chieda l’accoglimento della domanda l’attore, il giudice non è automaticamente tenuto a pronunciarsi di conseguenza poiché il provvedimento comunque presuppone un suo convincimento da acquisirsi in piena autonomia e liberà di valutazione.

Normalmente il convenuto richiede tuttavia l’accertamento negativo circa la sussistenza del diritto vantato dall’attore: si è pertanto di fronte ad un’azione di mero accertamento negativo avente il medesimo oggetto della citazione.

Si è sottolineato in dottrina come l’azione del convenuto sia comunque autonoma ed indipendente da quella dell’attore, così che anche quando quest’ultimo abbandoni o rinunci al giudizio, l’azione del convenuto si manifesta come autonomo diritto e sussiste un vero e proprio interesse alla prosecuzione.

Il convenuto può altresì chiedere l’accertamento del diritto negato dall’attore, nel qual caso se il rigetto della domanda dell’attore implica l’accertamento affermativo del diritto, d’altro lato in virtù del principio della domanda non può portare una (qualsiasi) condanna dell’attore a meno che il convenuto stesso non abbia proposto apposita domanda riconvenzionale. Solo infatti una domanda riconvenzionale fa entrare nell’ambito del giudizio il credito vantato dal convenuto e quindi costringere l’attore ad un facere o non facere, mentre, in assenza, l’oggetto del giudizio resta limitato alla singola domanda dell’attore.

Parte della dottrina tuttavia, allo stato minoritaria, si oppone a questa interpretazione rigorosa in quanto il giudizio coprirebbe il dedotto ed il deducibile.

 

3.      L’eccezione

Bisogna premettere brevi considerazioni in tema di teoria generale del diritto, e precisamente che è possibile parlare di “diritto” di un soggetto solo allorquando si siano verificati nel concreto uno o più fatti che nella norma sono astrattamente idonei a costituire quel diritto; in tal senso si parla di fatti costitutivi. Allo stesso modo si parla di fatti estintivi, impeditivi o modificativi ogni volta che vengono in rilievo fatti che sono previsti dalla legge come estintivi (risoluzione), impeditivi (condizione) o modificativi del diritto del soggetto.

Il convenuto pertanto potrà allegare alla propria difesa (comparsa di risposta), nell’ambito dell’oggetto delineato dalla domanda dell’attore, tutti i fatti estintivi – impeditivi o modificativi del diritto in oggetto (qualora chieda l’accertamento negativo) oppure i fatti costitutivi (qualora chieda l’accertamento del diritto negato), che prendono il nome di eccezioni.

Il convenuto pertanto, allegando i fatti modificativi- estintivi- impeditivi del diritto vantato dall’attore, ed deducendo altresì tutti i mezzi probatori al fine di sostenere le proprie eccezioni (art. 2697 c.c.), potrà in tal modo ottenere il rigetto della domanda dell’attore.

Tuttavia nel linguaggio processuale il termine “eccezioni” è usato talvolta anche in senso ampio, ossia nel ricomprendere ogni tipo di istanza con funzione di contrasto alla domanda, sia processuali o di rito, sia di merito o sostanziali. Tuttavia, in senso più ristretto e tecnico, si intende come eccezioni solo le richieste di una decisione negativa sulla domanda altrui sul fondamento di fatti impeditivi, estintivi o modificativi (attualmente al parallelismo dell’eccezione all’azione (contro diritto al rigetto – Chiovenda) è preferibile quello alla domanda.

Pertanto, per effetto dell’eccezione, l’oggetto del processo si allarga rispetto a quello determinato con la domanda, allargamento che non riguarda tuttavia l domanda stessa ma i fatti di cui il giudice può e deve conoscere.

L’art. 112, nel vietare al giudice di pronunciarsi su eccezioni che posso essere proposte solo dalle parti, afferma implicitamente che esistono due tipi di eccezioni: quelle rilevabili d’ufficio e quelle rilevabili solo dalle parti – cd. eccezioni in senso proprio o stretto.

In molti casi è la stessa legge che enuncia chiaramente che un dato fatto può essere rilevato d’ufficio o solo dalle parti (Es. compensazione o prescrizione). Circa la prescrizione ex 2938 inoltre, secondo la Cass. esistendo vari tipi di prescrizione, la valida proposizione dell’eccezione presuppone la specificazione del tipo di prescrizione stessa, pur non occorrendo indicare le relative norme.

Discusso invece è il criterio quando nulla è detto circa la rilevabilità dell’eccezione: parte della dottrina ritiene che l’art. 112 dovrebbe essere letto nel senso che la rilevabilità d’ufficio sia possibile solo quando sia espressamente consentita dalla legge. Tuttavia altro orientamento sottolinea come, poiché il giudice deve conoscere tutti i fatti che abbiano influito sulla esisteza del diritto, potrà comunque conoscere tutti i fatti che “automaticamente” abbiano prodotto effetti estintivi, impeditivi o modificativi (es. nullità, simulazione, rinuncia). Di tutti questi fatti il giudice può, perchè deve, tener conto.

Circa la cd. allegazione implicita, La Cassazione spesso si è pronunciata sulla necessità dell’allegazione esplicita di un fatto, salvo poi vedere se l’allegazione possa ritenersi coessenziale con la produzione del documento; in tal senso Cass. 8229/04 ha ritenuto sufficiente una produzione non argomentata.

A contrario, il giudice non può rilevare d’ufficio tutti quei fatti che producono effetti non automaticamente.

Anche l’efficacia estintiva, impeditiva o modificativa dei fatti che costituiscono oggetto dell’eccezione, può rimanere a sua volta estinta, impedita o modificata da altri fatti la cui allegazione configura la cd. “contro eccezione”. L’esempio più ricorrente è l’interruzione della prescrizione (che Cass. SU 2005 ha qualificato come eccezione in senso ampio e quindi deducibili anche per la prima volta in appello; Tuttavia Cass. 2006 ha negato l’efficacia della contro eccezione in appello nel caso che la relativa prova documentale non fosse acquisita in primo grado).

 

4.      La domanda riconvenzionale

Se l’eccezione pur introducendo nel processo nuovi fatti rimane nell’ambito della domanda dell’attore, il convenuto può anch’egli proporre, unitamente alla comparsa con cui chiede il rigetto della domanda proposta, una autonoma e propria domanda in relazione alla quale assume la veste di attore. Pertanto deve essere esaminata anche quando la domanda principale è dichiarata inammissibile.

Si tratta quindi di un’azione che il convenuto esercita contro l’attore nel medesimo processo in cui è stato convenuto. E’ ben possibile comunque che la stessa domanda riconvenzionale sia in rapporto di pregiudizialità rispetto alla domanda principale (ad es. quando si esercita un’azione dichiarativa o costitutiva il cui accoglimento ha la funzione di frustrare l’azione principale dell’attore). A tale proposito parte della dottrina ha parlato di “eccezione riconvenzionale”che realizza la funzione processuale della eccezione con la struttura logica della domanda riconvenzionale (Cfr. Cass.). Tuttavia si è osservato che finchè l’accertamento del rapporto pregiudiziale viene chiesto solo per paralizzare l’azione, si rimane nell’ambito dell’eccezione, mentre se con quell’accertamento si vuole ottenere qualcosa di più, si ha allora la riconvenzionale.

Pertanto il convenuto non è mai limitato dall’ambito della domanda in quanto, a sua volta, può egli stesso proporre domanda nuove.

Tuttavia ai fini di un ordinato svolgimento del processo, è possibile proporre domande riconvenzionali solo in presenza di due ben precisi criteri di collegamento. E pertanto ai sensi dell’art. 36 possono essere ammesse solo nuove domande che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o già appartenete alla causa come mezzo di eccezione, purchè non eccedano la competenza per materia o valore del giudice.

L’orientamento prevalente della Cassazione invece è nel senso che i limiti dell’art. 36 riguarderebbero soltanto i casi nei quali la proposizione della riconvenzionale implichi uno spostamento di competenza, a cui tuttavia la dottrina non si conforma in quanto si desumerebbe anche dalla norma che disciplina lo scioglimento del cumulo l’ammissibilità della riconvenzionale non connessa.

Esistono tuttavia ipotesi eccezionali in cui il simultaneus processus non sarebbe possibile nonostante il vincolo del collegamento o la dipendenza dallo stesso titolo: tipico è il caso del debitore convenuto dal Curatore del fallimento in un giudizio ordinario (così recentemente Cass. SU 2004 n. 21499).

La domanda riconvenzionale deve quindi dipendere da fatti che siano genericamente collegati con i fatti costitutivi della domanda principale o impeditivi/estintivi già introdotti come eccezioni, senza che occorra una vera e propria comunanza di causa petendi. La Cass. infatti ha sposato una interpretazione “larga” di “medesimo titolo” che deve intendersi non solo come medesima causa petendi ma è sufficiente che si riferisca al rapporto al quale si riferisce l’azione.

Qualora il giudice adito  non fosse competente per valore o materia, ha la scelta di separare le cause o rimettere tutta la causa al giudice superiore, assegnando un termine per la riassunzione (scelta questa obbligata sia per il giudice di pace ex 40 comma 2 cpc, sia quando la riconvenzionale implica una questione pregiudiziale).

 

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