La revocatoria fallimentare e riflessi sull'atto di compravendita

 

1.      La Normativa.

La disciplina del fallimento è regolata dal R.D. n. 267 del 1942 che, nel corso di questi ultimi anni, ha subito rilevanti modiche.

La prima rilevante modifica, ai nostri fini, si ha è avuta con la L. 80 del 2005 (conversione del Decreto competitività) modificato poi con D.Lgs. 5 del 2006 e D.Lgs. 169 del 2007, quest’ultimo che ha inciso profondamente su tutta la disciplina del fallimento.

Con la Novella si è modificata la stessa nozione di imprenditore soggetto al fallimento, per cui sono oggi soggetti fallibili gli imprenditori che esercitano attività commerciale (esclusi gli enti pubblici) che abbiamo: 1) un attivo patrimoniale negli ultimi tre esercizi almeno di 300.000 euro annui; 2) aver realizzato ricavi lordi per almeno 200.000 euro annui; 3) un ammontare di debiti non superiore a 500.000 euro. Viene quindi superata la classica distinzione del piccolo imprenditore, rapportando la possibilità di poter essere dichiarati falliti a meri indici quantitativi. Rimane invece confermata l’esclusione dal fallimento dell’imprenditore (prevalentemente) agricolo.

Iniziando ad analizzare la nuova disciplina della azione revocatoria, disciplinata dagli art. 67 e ss. L.F., si deve sottolineare come i requisiti di applicabilità dell’azione sono stati resi notevolmente più rigorosi e restrittivi. A tal fine giova ricordare che:

-          Sono stati dimezzati ad un anno (per gli atti onerosi di cui al comma 1 art. 67) ed a un anno e sei mesi (per gli atti gratuiti di cui al comma 2 art. 67) i termini del periodo “sospetto”, ossia il periodo in cui possono essere revocati i relativi atti, dal momento della dichiarazione di fallimento;

-          Il criterio per giustificare la revocatoria degli atti onerosi è stato sostituito dal generico criterio della “notevole sproporzione” a quello della “sproporzione per oltre ¼ della prestazione eseguita o dell’obbligazione assunta”;

-          Sono state introdotte sette nuove ipotesi di esenzioni;

-          È stato previsto un nuovo termine di decadenza ex art. 69 bis: ossia di 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque di 5 anni dal compimento dell’atto da revocare. Detto termine è qualificato espressamente di decadenza e non di prescrizione, con tutte le relative conseguenza in ordine all’impossibilità di applicare gli istituti della sospensione e dell’interruzione.

Con la riforma del 2005 si è passati quindi dalla centralità del principio della par condicio creditorum ad una possibile e sempre più rilevante limitazione dell’interesse del creditore a favore della generale esigenza di conservazione dell’impresa ed ad una tutela e stabilità dei diritti dell’acquirente per scopi abitativi.

Si discute inoltre sull’ambito di applicabilità delle sette ipotesi di esenzioni di cui all’art. 67 comma 3 L.F. : una prima tesi, valorizzando il dato testuale che afferma che “non sono soggette all’azione revocatoria …” ne afferma l’applicabilità anche alla azione revocatoria ordinaria; un secondo contrario orientamento invece non sono ne prevede l’applicabilità alla sola revocatoria fallimentare, ma in particolare ai soli atti di cui al comma 2 art. 67 (atti gratuiti) dal momento che la norma sembrerebbe riferirsi per la sua collocazione unicamente a questi.

In particolare è necessario analizzare l’ipotesi di cui alla lettera c) del comma 3 art. 67 L.F. che, incidendo direttamente sugli atti di compravendita, è oggetto della presente analisi.

Più precisamente la norma prevede che “le vendite, ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’art. 2645 bis, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma 3 della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti od affini fino al terzo grado” non sono oggetto di revocatoria.

A tale proposito giova inoltre ricordare l’analoga disposizione di cui all’art. 10 D. Lgs 122 del 2005 sugli immobili da costruire, per cui “gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o altro diritto reale di godimento di immobili da costruire, nei quali l’acquirente si impegni a trasferire entro 12 mesi (…) la propria residenza o di suoi parenti od affini entro il terzo grado, se posti in essere al giusto prezzo da valutarsi alla data della stipula del preliminare, non sono oggetto di revocatoria fallimentare”.

Veniamo ora ad analizzare la disposizione in esame.

 

2.      La nozione di vendite e preliminari trascritti, i cui effetti non siano cessati.

Mentre nell’art. 67 L.f. la normativa indica precisamente la natura dell’atto oggetto della possibile esenzione: vendite e preliminari trascritti ex 2645 bis, nella disciplina sugli immobili da costruire il legislatore ha utilizzato un espressione più ampia, riferendosi agli “atti di trasferimento oneroso che hanno come effetto il trasferimento”. Ci si chiede pertanto se anche la disposizione di cui al comma 3 art. 67 possa essere interpretata in senso più ampio ma autorevole dottrina ha sottolineato come il termine usato dal legislatore sia stato utilizzato proprio per limitare l’ipotesi dell’esenzione alle sole compravendite.

 

3.      Il riferimento al giusto prezzo.

Autorevole dottrina, anche sulla base di altre disposizioni di legge nonché in base allo stesso art. 108 L.F. per cui il giudice può sospendere la vendita quando ritiene che  il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, ritiene che il riferimento al giusto prezzo sia da individuarsi nel prezzo di mercato del bene. Si è evidenziato tuttavia come la normativa in esame non richieda una perfetta corrispondenza tra prezzo di acquisto e valore di mercato, potendosi il primo discostarsi dal secondo in alcune ipotesi o per determinati fattori particolari.

Ci si è chiesti inoltre quale sia il momento cui fare riferimento per la determinazione del giusto prezzo. Parte della dottrina ha infatti sostenuto la necessità di far riferimento al prezzo indicato nell’atto definitivo mentre, un secondo orientamento, anche sulla base della disciplina degli immobili da costruire, ritiene più corretto fare riferimento al prezzo determinato nel preliminare.

Si segnala infine come anche il legislatore fiscale abbia di recente adottato il criterio del valore normale dei fabbricati, fornendone alcune indicazioni.

 

4.      La nozione di immobili ad uso abitativo e la sua destinazione.

Il legislatore fa rientrare nella fattispecie in esame unicamente gli immobili ad uso abitativo: restano pertanto esclusi tutti gli immobili aventi diversa destinazione, quali negozi o terreni.

Sempre in base al dato letterale dovrebbero rimanere esclusi da detta tutela anche gli acquirenti di cantine, posti auto e pertinenze in genere anche se autorevole dottrina ritiene di estendere l’ambito di applicazione della normativa a tutte le pertinenze degli immobili ad uso abitativo, analogamente a quanto avviene in ambito fiscale.

Quanto alla destinazione dell’immobile, il legislatore non indica il periodo entro il quale deve avvenire la prescritta destinazione, al contrario della disciplina sugli immobili da costruire dove è espressamente previsto il termine di 12 mesi dall’acquisto o dalla ultimazione dei lavori. Sarà inoltre compito del giudice stabilire se il siffatto immobile sia stato effettivamente destinato ad abitazione principale e valutare l’idoneità di eventuali cause che abbiano impedito una sua destinazione immediata. In questa ottica si inserirebbero l’acquisto di immobili locati, da ristrutturare o della nuda proprietà, dove l’acquirente non acquista immediatamente anche l’effettivo godimento del bene.

Il giudice dovrà inoltre valutare anche la sussistenza di altre circostanze come qualora l’acquirente destini inizialmente il bene a propria abitazione ma poi ne faccia successivamente un uso diverso.

L’immobile, come precisato, deve costituire l’abitazione “principale”: implicando questa una verifica possibile solo a posteriori, tale concetto è più vicino a quello di dimora ex art. 43 come luogo di normale abitazione (così come utilizzato nel D. Lgs 122/05), che prescinde dalle risultanze anagrafiche.

 

5.      Estensione tutela ai familiari

L’ultima precisazione ha riguardo l’estensione della tutela in esame ai soli parenti ed affini entro il terzo grado. Pur non essendo espressamente previsto, si ritiene che detta tutela trovi applicazione anche per il coniuge dell’acquirente. Il legislatore ha invece pertanto escluso le persone giuridiche, soggetti che pur potendo acquistare immobili destinati ad abitazione, non posso adibirla a “propria” abitazione. Non è possibile inoltre estendere l’ambito di applicabilità della norma al convivente di fatto, anche se sul punto non tutta la dottrina è concorde.

 

6.      Formalità e conclusioni

E’ da notare come, al contrario della disciplina degli immobili da costruire ove si richiede necessariamente la menzione che l’immobile sarà adibito a residenza familiare e che tra le parti non si intercorso alcun precedente rapporto contrattuale avente ad oggetto il medesimo immobile, l’art. 67 L.F. non prescrive alcun tipo di formalità.

Si è inoltre evidenziato come tra la disciplina dell’art. 67 LF e il D.Lgs. 122/05 non si creino conflitti ma sussista un rapporti di genus (art.67) a species; mentre inoltre la seconda trova applicazione solo nella ipotesi di atti traslativi ad effetti immediati di immobili da costruire, la prima potrà applicarsi tanto per gli atti aventi effetti reali immediati quanto solo obbligatori.

 

 

 

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