Il Negozio di accertamento.

 

Il negozio di accertamento non è previsto dal Codice ma dottrina e giurisprudenza lo hanno preso in considerazione soprattutto per distinguerlo dalla transazione.

Si ha negozio di accertamento quando le parti si accordano per determinare definitivamente tra di loro l’esistenza, il contenuto o i limiti di una data situazione.

Presupposto del contratto è una situazione di incertezza, anche soggettiva, che una volta esteriorizzatasi diventa oggettiva.

Si tratterebbe di un’esplicazione del potere di autonomia privata e la causa del contratto consiste nell’accertamento di un rapporto esistente tra le parti, così da conferire certezza ad una situazione preesistente. Tipico esempio sarebbe l’azione di regolamento dei confini (950) a cui le parti possono ricorrere senza l’intervento del giudice.

Parte autorevole della dottrina ha sostenuto l’inamissibilità di un negozio di accertamento nel nostro ordinamento, ossia di un potere ricognitivo dei privati senza disporre o modificare il rapporto in essere.

Nella stessa nozione di contratto ex art. 1321 c.c. infatti è previsto che le parti possano solo costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici ma non meramente accertare situazioni di fatto, che non avrebbero quindi natura negoziale e il cui relativo potere di accertamento spetterebbe esclusivamente al giudice.

Autorevole dottrina e la giurisprudenza  riconoscono invece il negozio di accertamento, ritenendo che sia possibile per l’autonomia privata una siffatta forma di autotutela, senza l’intervento del giudice.

Si discute tuttavia anche sugli effetti della figura in esame: se è pacifico che la causa è l’accertamento del rapporto preesistente, secondo un primo orientamento l’istituto oltre ad avere una funzione dichiarativa,  sarebbe a efficacia obbligatoria in quanto le parti si obbligano a non dare al contratto una interpretazione diversa di quella data; secondo altra dottrina (che sembra maggioritaria) il negozio avrebbe solo un’efficacia dichiarativa senza andare a modificare o creare obblighi.

Si discute inoltre se sia indispensabile che il negozio in esame debba essere necessariamente un contratto o possa esser anche unilaterale: parte della dottrina e giurisprudenza ammettono che il negozio possa provenire anche da una parte soltanto, che si vincola a considerare per il futuro una data situazione incerta.

Quanto all’oggetto il negozio è nullo se riguarda diritti sottratti alla disponibilità delle parti, così come previsto dall’art. 1196 in tema di transazione. Sulla base di questo assunto parte della dottrina ne ha ricavato che il negozio di accertamento può avere ad oggetto solo rapporti e non fatti (oggetto di confessione stragiudiziale), ammessi invece pacificamente da altra parte della dottrina.

Si ritiene che il negozio di accertamento, essendo un negozio di secondo grado che incide sul rapporto preesistente, debba avere la medesima forma ad relationem.

Se inoltre non si discute che il negozio di accertamento possa avere ad oggetto diritti reali, si pongono problemi per l’ammissibilità di un atto di riconoscimento di diritti reali.

In materia di obbligazioni esiste infatti l’art. 1988 che ammette il riconoscimento del debito mentre in tema di diritti reali sono previste solo specifiche ipotesi (accertamento dell’enfiteusi o della prescrizione) che presuppongono tuttavia l’esistenza di un valido titolo costitutivo.

Al contrario l’art. 1988 afferma che la ricognizione del debito fa presumere l’esistenza di un rapporto obbligatorio, anche in mancanza di un titolo e quindi a causa della mancanza di una normativa ad hoc si ritiene che non sia possibile un riconoscimento dei diritti reali in analogia al 1988 e quindi il riconoscimento, quando possibile, non possa valere come titolo d’acquisto del diritto (si ammetterebbe un titolo astratto produttivo di effetti reali).

Il riconoscimento del debito presenta notevoli affinità con il negozio di accertamento ma, se ne differenzia in quanto non crea alcun vincolo per chi dichiara, avendo una valenza quasi esclusivamente processuale e di onere della prova.

Si discute inoltre se il negozio di accertamento possa essere trascritto, quando riferito a diritti reali.

La dottrina dominante sostiene la tesi negativa in quanto la funzione del negozio di accertamento non è quella di modificare una situazione giuridica ma accertare un rapporto preesistente.

Dal negozio di accertamento si distingue nettamente la transazione che ha efficacia costitutiva mentre l’istituto in esame ha efficacia solo dichiarativa; presupposto della transazione è infatti che sia sorta o possa nascere una lite, mentre per l’istituto in esame è sufficiente la mera incertezza. Mentre la transazione inoltre è caratterizzata da concessioni reciproche, queste sono incompatibili con il mero accertamento.

Tuttavia si ritiene che, stante l’affinità tra le due figure, una transazione nulla possa convertirsi in negozio di accertamento se ve ne siano i presupposti.

Né la figura in esame può essere confusa con la rettifica che non ha natura negoziale.

 

Piccole precisazioni sulla natura della transazione e della confessione.

 

Parte autorevole della dottrina ritiene inoltre che la transazione è potenzialmente traslativa. La transazione infatti viene trascritta, e pertanto sarà necessario inserire le menzioni urbanistiche e la dichiarazione circa il regime patrimoniale dei coniugi. Essendo equiparato ad un ato trasativo, cadrà inoltre nella comunione dei beni

Circa invece la natura della confessione (2730) è discusso invece se sia una dichiarazione di volontà, e abbia quindi natura negoziale, dal momento che viene richiesta la capacità di disporre dei diritti (2731). Se si ammettesse tale natura negoziale, la figura andrebbe con il coincidere con il negozio di accertamento.

Si ritiene tuttavia che sia una semplice dichiarazione di scienza in quanto il suo effetto è quello di fissare irrevocabilmente un fatto e la stessa disciplina ne conferma la natura non negoziale (la capacità è richiesta per il suo valore di piena prova, mentre è sottratta a buona parte dei vizi del volere che non costituiscono causa di annullabilità ma di revoca).

 

[ HOME ]